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La vivisezione uccide il topo e la bambina
FONTE: SCIENZA VERDE - maggio 2012: http://www.scienzaverde.it
Stefano Cagno |
Uno dei luoghi comuni di chi sperimenta sugli animali è che gli antivivisezionisti farebbero leva su aspetti emotivi e, soprattutto, sarebbero persone che odiano gli esseri umani e amano gli animali.
Queste argomentazioni, solitamente prive di fondamento, hanno però sempre avuto una grande presa sull’opinione pubblica, soprattutto su quanti sono poco inclini alla riflessione e desiderano essere rassicurati, anche se in maniera vaga e non documentata. Dico questo perché, in realtà, la gente dovrebbe innanzitutto domandarsi se gli esperimenti sugli animali sono utili per il progresso scientifico, oppure se sono azioni eticamente accettabili, ma questa domanda è già più evoluta e non si può pretendere che tutti se la pongano. Rimane il fatto che i vivisettori sono i primi che, non riuscendo ad essere convincenti, quando sono messi alle strette, sulle validità scientifiche delle loro ricerche, continuano a puntare sulle argomentazioni emotive. Un cavallo di battaglia dei vivisettori è la domanda: “Preferiresti sperimentare su un animale o su un essere umano?” oppure la sua variante più estrema, ossia: “Preferiresti sperimentare su un animale o su tuo figlio?”. Se una persona non si ferma un attimo a riflettere, la risposta sembrerebbe quasi scontata. Eppure proprio in questo caso i vivisettori dimostrano in maniera sfacciata che possono utilizzare solo argomenti emotivi, poiché non possiedono argomenti scientifici in grado di giustificare i loro esperimenti.
Questa domanda, infatti, è basata su quello che si può definire un evidente “ricatto morale”. Non possiede alcuna valenza scientifica, perché altrimenti dovrebbe essere formulata nella seguente maniera: "Sperimentando su un animale posso ottenere valide informazioni per tutelare la salute di mio figlio?". In realtà la scelta tra il proprio figlio ed un animale rappresenta soltanto uno sfacciato ricatto morale. Se, infatti, cambiassi la domanda in: "Preferisci sperimentare su tuo figlio o sul figlio della vicina di casa?", la risposta sarebbe: "Preferirei sperimentare sul figlio della vicina di casa". In questo esempio uno dei due soggetti (il figlio) risulta sempre vincente, poiché con lui ho un legame affettivo ed emotivo molto forte. Quindi il confronto non è più tra un essere umano e un animale, ma tra un essere umano, a me molto vicino affettivamente, e un altro essere vivente, umano o non umano, che dal confronto non può che risultare perdente. Tuttavia, anche se dovessimo accettare il paragone, bisognerebbe capire cosa significa sperimentare. Perché esistono ricerche molto cruente per gli animali ed altre meno cruente; esistono studi che mirano a scoprire, indipendentemente dal fatto che ce la facciano, aspetti fondamentali per la sopravvivenza degli esseri umani ed altri che invece non riguardano la medicina. Un conto è applicare una crema sulla cute di un coniglio, un altro è spalmargliela negli occhi e lasciargliela per giorni interi, ancora di più se si tratta di un cosmetico e non di un farmaco. Un conto è somministrare basse dosi di una sostanza in sperimentazione, un altro è conficcare elettrodi nel cervello dell’animale e fare passare la corrente elettrica. I vivisettori pongono la domanda senza definire il contesto, così facendo inducono una risposta generica che giustifica ogni tipo di ricerca. Quindi, sia lo studio che non provoca dolore nell’animale, sia quello che lo sottopone a vere e proprie torture; sia quello che si occupa della medicina, sia quello che si occupa della cosmesi o delle armi di distruzione di massa. Negli ultimi mesi l’opinione pubblica italiana è stata scossa dal suo storico torpore nei riguardi del tema vivisezione grazie, inizialmente, alla campagna per la chiusura dello stabilimento di Green Hill a Montichiari in provincia di Brescia, dove ci sono oltre 2500 cani beagle destinati ad essere venduti ai laboratori di vivisezione e, successivamente, alla campagna contro Harlan, un'altra industria, sita a Correzzata in provincia di Monza, che vende macachi sempre ai laboratori di ricerca. La risposta dei vivisettori non si è fatta attendere e ha messo in campo il solito armamentario di vuote rassicurazioni e di falsi, ma efficaci, slogan. Così, sembra che entro breve le città italiane saranno riempite di manifesti in cui si vede un grazioso topolino e un altrettanto graziosa bambina, con la scritta: “Un giorno ti potrei salvare la vita”, lasciando intendere che quello che si scopre nel topo potrebbe salvare la bambina. Questa campagna unisce tutta la demagogia sull’argomento, infatti: 1. Non spiega come ciò potrebbe accadere |