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Considerazioni su recenti notizie di cronaca riguardanti aziende interessate alla sperimentazione animale

Prof. Gianni Tamino, Biologo, Docente all'Università di Padova (25 Gennaio 2005)

Nei giorni scorsi sono apparsi alcuni articoli sulla stampa che trattavano argomenti apparentemente senza un preciso legame, ma che, ad un esame più attento, possono essere letti come parti di un‚unica trama. Mi riferisco all’articolo uscito sull’Espresso del 13 gennaio dal titolo “Marketing in pillole” alla notizia, riportata da più giornali (come il Sole 24 Ore del 6 gennaio), che il prossimo film di Michael Moore riguarderà le Case farmaceutiche e alla denuncia che le multinazionali del tabacco hanno pagato alcuni ricercatori per screditare i risultati che collegavano il fumo passivo all’insorgenza di tumori.

Tutte queste notizie evidenziano come spesso chi deve controllare la sicurezza di farmaci, alimenti o altri prodotti di uso quotidiano è nel libro paga delle aziende, che dalla vendita del prodotto intendono trarre lauti profitti.

Attualmente è in discussione al Parlamento Europeo un’importante direttiva, chiamata REACH (cioè Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals) che prevede di sottoporre a test di tossicità le sostanze chimiche immesse in commercio: si tratta sicuramente di una norma importantissima a garanzia dei cittadini, ma come possiamo essere sicuri che i test non saranno preconfezionati su pressioni delle aziende del settore?

L’aspetto più preoccupante è che tutti i test sono normalmente fatti su animali e che proprio la sperimentazione sull’animale è quella che meglio si presta a precostituire il risultato. A dirlo non sono solo gli animalisti, ma anche importanti studiosi.

Scrivono, infatti, N. D. Barnard e S. R. Kaufman, in un articolo della rivista (Scientific American, pubblicato in Italia da Le Scienze‚ (Aprile 1997): “Gli animali vengono prevalentemente utilizzati in laboratorio come modelli: mediante manipolazione genetica, interventi chirurgici o iniezione di sostanze estranee, i ricercatori producono in essi patologie che costituiscono un modello delle condizioni umane. I modelli animali sono, nel migliore dei casi, una buona imitazione delle condizioni umane, ma nessuna teoria può essere approvata o respinta sulla base di un analogia. E, utilizzando differenti tipi di animali in differenti protocolli, gli sperimentatori possono trovare prove a sostegno di qualunque teoria. Per esempio, si sono utilizzati esperimenti sugli animali sia per provare sia per negare il ruolo cancerogeno del fumo.”

Ma più recentemente un articolo apparso sul British Medical Journal (n.328 del 28 febbraio del 2004) alcuni studiosi, coordinati da Ian Roberts, in una recensione sistematica degli esperimenti sugli animali, concludono che “non si dovrebbero effettuare nuovi esperimenti su animali fino a quando non sarà stata valutata la loro validità”.

Penso che le aziende farmaceutiche, alimentari, del tabacco e della chimica abbiano diritto di cercare di vendere e dunque trarre profitto dai loro prodotti, ma che ancor più diritto abbiano i cittadini di sapere che quanto viene messo in commercio sia sicuro. Ciò richiede da una parte controlli sulla reale indipendenza rispetto alle aziende di chi fa ricerca e dall’altra l’utilizzo di metodiche realmente valide, e quindi che non ricorrano all’uso degli animali, dato che si può sempre trovare un ceppo o una razza di qualche specie che permetta di ottenere ciò che fa piacere all’azienda che finanzia, in modo trasparente od occulto, la ricerca.



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