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 Vivisezione: un errore metodologico

                                                                                                                                     Gianni Tamino

La vivisezione trae origine da una visione meccanicista della natura, che assimila uomini ed animali a macchine, di cui si pensa di poter conoscere il funzionamento attraverso una relazione meccanica tra le parti. In quest’ottica, l’animale-macchina diviene un modello per l’uomo-macchina.  Questa logica dovrebbe fondarsi su precise corrispondenze tra uomo e animale, ma ogni biologo sa che animali diversi possono presentare alcune caratteristiche anatomiche, fisiologiche e metaboliche simili, ma altre molto diverse: ogni animale è solo modello di se stesso.

Inoltre gli animali usati per gli esperimenti sono animali selezionati artificialmente, tenuti in gabbia senza quegli stimoli indispensabili a sviluppare le proprie autodifese.

Ogni risultato sperimentale ottenuto su un animale ci fornisce tutt’al più dei dati utili per quella specie, ma non sappiamo se ciò che si è ottenuto su quell’animale si verificherà anche nell’uomo. Sapremo se vi è o meno corrispondenza tra l’uomo e l’animale impiegato nella sperimentazione solo dopo aver sperimentato le stesse sostanze sull’uomo. 

E’ dunque l’uomo la vera cavia.

Tuttavia, quando si discute sulla validità di teorie contrapposte in medicina e biologia, si citano spesso come prova gli studi condotti su animali. In un contesto di questo tipo, utilizzando differenti tipi di animali in differenti protocolli, gli sperimentatori possono trovare prove a sostegno di qualunque teoria. Per esempio, si sono utilizzati esperimenti sugli animali sia per provare sia per negare il ruolo cancerogeno del fumo.

I ricercatori hanno a disposizione metodi migliori dei test sugli animali: studi epidemiologici, sperimentazioni cliniche, osservazioni cliniche sostenute da test di laboratorio, colture in vitro di cellule e di tessuti, studi autoptici, esami endoscopici e biopsie, metodi di indagine per immagini. Vi è poi l’epidemiologia molecolare, una scienza emergente che collega i fattori genetici, metabolici e biochimici a dati epidemiologici sull’incidenza di malattie, e la tossicogenomica, un metodo di ricerca, basato sul “DNA array” per monitorare l’espressione dei geni, che consente di osservare il modo in cui una determinata sostanza chimica altera la funzione dei geni all’interno di una cellula.

Va ricordato infine quanto affermava su Nature nel 2009, Thomas Hartung, farmacologo e tossicologo tedesco dell’Università di Costanza, in un articolo dal titolo “Tossicologia per il XXI Secolo”: “Solo un radicale rinnovamento della sperimentazione tossicologica ci consentirà di affrontare le prossime sfide per la tutela della salute e dell’ambiente”, evidenziando la non predittività della sperimentazione sugli animali.



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