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ATTIVITA'

 

Le Organismi Transgenici e agricoltura italiana
di Claudio Malagoli (Università di Bologna)

Da un punto di vista socio-economico occorre prima di tutto evidenziare che l'utilizzazione di Organismi Transgenici (OT) in agricoltura per scopi alimentari non ha ancora subito il vaglio di specifiche ricerche in grado di chiarire i dubbi sulle conseguenze salutistiche, nutrizionali e ambientali, che una loro deliberata immissione nell'ambiente potrebbe comportare. In questa situazione il consumatore è restio a modificare i suoi modelli di consumo (secondo specifiche indagini oltre il 70% dei consumatori si è dichiarato contrario all'acquisto di OT), anche in relazione al fatto che egli si rende conto di trovarsi di fronte ad una contraddizione: "stiamo pagando gli agricoltori per non coltivare la terra, gran parte delle produzioni sono contingentate (quote di produzione su latte e su altri prodotti agricoli), distruggiamo parte delle produzioni in eccesso per mantenere un elevato prezzo di mercato e dovremmo applicare una tecnologia "non sicura" solo perché in grado di produrre a minori costi?".
Di primaria importanza per il settore agricolo nazionale è anche il problema di assecondare le esigenze di un consumatore che controlla con cura il prodotto prima di acquistarlo. In particolare, quando le produzioni transgeniche saranno veramente etichettate, siamo sicuri che saranno acquistate?
Esistono poi problemi connessi all'adozione di OT per il settore agricolo nazionale. In particolare, coltivare Organismi Transgenici significa mettersi in concorrenza con forme di agricoltura completamente diverse dalla nostra; agricolture che hanno grande disponibilità di terreni, agricolture che non hanno limitazioni nell'utilizzazione di concimi e/o di antiparassitari, agricolture che sfruttano il lavoro minorile e che non hanno tutele sindacali, ecc.
Per la nostra agricoltura:
- se è vero che determineranno un abbassamento dei costi di produzione, è altrettanto vero che favoriranno un abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli, determinando così anche una perdita di reddito reale per l'agricoltore;
- causeranno la perdita di imprenditorialità per l'agricoltore, che diventerà un prestatore di manodopera per conto di chi detiene il brevetto, in quanto le produzioni saranno attuate sulla base di un "contratto di coltivazione";
- faciliteranno l'operazione di delocalizzazione della produzione agricola (la produzione agricola sarà trasferita nei Paesi caratterizzati da un minor costo di produzione);
- determineranno l'abbandono dei territori marginali, che non saranno in grado di competere sulla base dei bassi costi di produzione;
- determineranno una minor utilizzazione e, conseguentemente, un abbassamento del reddito spettante ai fattori produttivi solitamente apportati direttamente dall'agricoltore (manodopera soprattutto);
- aumenteranno la dipendenza del nostro Paese nei confronti delle forniture provenienti dall'estero;
- determineranno una diminuzione del numero di occupati in agricoltura;
- determineranno un danno di immagine per l'agro-alimentare nazionale, da tutti conosciuto per le sue produzioni di eccellenza.
In conclusione si può affermare che le problematiche relative all'introduzione di coltivazioni transgeniche sono notevoli e di portata tale da non giustificare una decisione affrettata. Certamente la nostra agricoltura da sempre basata su presupposti di tipicità e di qualità non ha bisogno dell'attuale biotecnologia, che per essere considerata sostenibile dovrebbe avere possibilità applicative decisamente migliori.
Occorrerà poi valutare attentamente se questi "nuovi alimenti" rispondono ad una reale esigenza del consumatore. Soprattutto nell'attuale momento in cui egli tende a privilegiare la tipicità, la salubrità e, più in generale, la naturalezza dei prodotti alimentari (il forte aumento del consumo di produzioni biologiche ne è una conferma), si può affermare che il loro sviluppo è sicuramente controtendenza. Una controtendenza che andrà valutata attentamente, al fine di non impiegare risorse e capacità umane nello sviluppo di produzioni delle quali, forse, non abbiamo una reale necessità.

 
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